Intervistiamo Maurizio Torriani, sales manager e founder di PageNet, che fa un primo bilancio dopo i 12 anni dalla fondazione.
Ho frequentato il liceo scientifico. Ancora non sapevo cosa avrei fatto “da grande” e purtroppo ho perso il papà: avevo 16 anni. Lui lavorava all’Eni e a quei tempi c’era la consuetudine di assumere un familiare, in caso di decesso di un dipendente. Io ho concluso il liceo, sapendo già che sarei stato assunto a 19 anni. Nonostante il posto sicuro, mi sono iscritto a Fisica, frequentando i corsi serali.
Come è stata l’esperienza di lavoro in Eni?
Sono entrato nel gruppo dei sistemi informativi e ho imparato il mestiere di programmatore su calcolatori “mainframe”, conoscendo sistemi operativi e linguaggi in ambito informatico. Dopo due anni di Fisica, sono passato a Scienze dell’informazione (l’attuale Informatica). Lì ho conosciuto mia moglie, sui banchi di scuola.
Che vita piena! Lavoro, studio e vita di coppia…
Sì, finivo di lavorare alle 17:30, dalle 18:00 alle 22:00 frequentavo le lezioni e con mia moglie è nato molto presto il desiderio di realizzare un progetto di vita insieme. Nel 1987 cominciavo ad avere un bagaglio di esperienza professionale interessante, avevo buone competenze. Così ho deciso di cambiare lavoro. Sono stato assunto in Data Management come capo progetto nell’area informatica: mi occupavo di applicazioni bancarie.
Cos’era Data Management?
Era lo spin off dell’informatica del Credito Italiano, ma offriva i propri prodotti di software anche ad altre banche.
Nel frattempo avevi concluso l’università?
No, non l’ho mai finita. Mi mancavano tre esami più la tesi, ma mi sono sposato, ho avuto il primo figlio… In realtà credo di avere comunque la cultura universitaria, anche senza il pezzo di carta. Era solo una questione di orgoglio. Mia moglie invece nel 2005 si è laureata.
Si sa, le donne hanno una marcia in più. Ma torniamo a Data Management.
Ho lavorato lì solo due anni, perché nel 1989 ho cominciato a lavorare per l’Ospedale San Raffaele, come capoprogetto. Recepivo le esigenze degli utenti, medici e infermieri, per tradurli in progetti nell’area sanitaria.
Nel 1991 c’è una grande svolta. Smetti di essere sviluppatore e diventi commerciale.
Sì, faccio il commerciale per CA (Computer Associates). Era bellissimo: se eri capace di vendere, potevi guadagnare molto bene. Certo, se non vendevi, rischiavi il licenziamento, pratica normale quando si lavora con società americane. Per molti anni CA è stata un’azienda molto importante e ha vissuto una vera e propria esplosione negli anni Ottanta-Novanta. Tutte le mie competenze tecniche e tecnologiche che ho maturato si sono unite all’esperienza di commerciale. Accadde che uno dei miei capi mi volle con sé a gestire i clienti migliori che avevano. In una delle molteplici organizzazioni, accadde che fui assegnato alla National Account Division, la divisione che si occupava dei clienti migliori. Nel 1996 ho chiuso un contratto pluriennale con un importante gruppo assicurativo. Avevo una gran voglia di crescere, ma i miei superiori avevano in mente tempi diversi per me. Così un mio ex collega mi ha chiamato in un’altra azienda, Compuware e io sono andato.
Che tipo di lavoro svolgevi?
Lo stesso: account, sales… Avevamo bei prodotti e buoni clienti. C’era un bell’affiatamento tra colleghi. Ma nel 1999 un mio ex capo, responsabile della NAD di Computer Associates, R.P., voleva creare il vecchio gruppo di lavoro in un’altra azienda. Così ho dato le dimissioni e ho cominciato una nuova avventura in Platinum Technology. Dopo sei mesi PT è stata acquisita da CA. Così me ne sono andato in Software AG, un’azienda tedesca, che aveva appena assunto R.P. Era un ambiente affascinante, con tanta fiducia reciproca nei colleghi e tanta voglia di collaborare.
Insomma un’esperienza da commerciale, cambiando diverse aziende. Che cosa hai imparato in tutti questi anni?
Ho imparato a capire le esigenze dei clienti e a trasformarle in soluzioni da proporre. Quello del commerciale è un mestiere per cui passi dalle stelle alle stalle in un battibaleno. Ma non finisci mai di imparare. Devi inventare qualcosa di nuovo per ogni cliente, togliere tutte le tue precomprensioni. Se pensi di avere tutto lo scibile in testa, sei fuori strada: c’è ancora qualcosa che non hai considerato. Man mano che fai questo mestiere, passi da consapevolezze banali, che non hanno fondamento, all’importanza di capire che cosa vogliono davvero i clienti.
Fammi un esempio…
Se c’era un prodotto con tre sottocomponenti, pensavo che chi ne avesse due potesse evidentemente avere buoni motivi per comprare il terzo, ma non è detto che sia così. La vera discriminante è la garanzia che il terzo componente possa risolvere il problema del cliente. A monte ci deve essere una necessità reale.
Torniamo a Software AG… Ambiente ideale?
Sì, decisamente. Finchè il mio capo litigò con il boss tedesco. Il gruppo andò in frantumi. E ho trovato FileNet, una società americana, leader di un prodotto di nicchia di gestione documentale. Un’azienda piccola, con una dimensione molto umana: eravamo 30 dipendenti in Italia. Ci occupavamo di vendite attraverso il canale, sollecitavamo i business partner per la vendita della licenza, tenendoli aggiornati sulle novità. Un’attività che non avevo mai fatto prima.
Occuparsi della vendita indiretta è molto diverso rispetto alla vendita diretta?
Sì, direi proprio di sì. Nella prima sono società business partner che usano il tuo software per venderli ai propri clienti. Io davo la mia disponibilità a visite presso i clienti, incontrando spesso reticenze da parte del business partner. Nella vendita indiretta hai informazioni solo con il passaparola, è difficile poterle misurare e controllare. Mentre nella vendita diretta hai la possibilità di essere più attendibile nelle previsioni.
Ma nel 2007 FileNet viene comprata di IBM.
Esatto, un’esperienza diametralmente opposta. Su un cliente ci sono talmente tanti venditori che competono uno contro l’altro, pur di vendere. C’è uno specialista su ogni prodotto e il catalogo ha migliaia di categorie. Ricordo riunioni complesse, con anche venti persone IBM.
Una struttura troppo articolata…
Sì, direi reticolare. Ci sono responsabili per funzione e per tecnologia. Solo chi la vive ci può capire qualcosa.
Quando c’è stata l’annuncio dell’acquisizione quindi hai reagito male?
No, in realtà no. All’inizio ero contento. Ho pensato che saremmo stati molto più competitivi, perché potevamo offrire un servizio davvero completo. Ma in IBM c’è poco spirito di squadra e ciascuno lavora per la propria divisione, senza curarsi delle altre. E scatta subito una guerra interna.
Come arriva quindi l’avventura di PageNet?
Nel 2011 Andrea Molinari mi ha proposto questo progetto e mi sono fatto coinvolgere subito. Ho lavorato sempre per altri e volevo cominciare a lavorare per me. Ho mantenuto questo doppio canale fino al 2019, quando ho concluso la collaborazione con IBM.
Parliamo di PageNet…
Era l’epoca in cui gli ebook sembravano conquistare il mercato. Tutti ne parlavano. Andrea conosceva molto bene il mondo dell’editoria, io quello informatico. Queste competenze, unite alla pura vendita, ci sembravano utili per l’azienda.
Che bilancio puoi registrare a 12 anni di distanza?
Fin qui PageNet ha risposto appieno alle aspettative, che sono ancora più rosee di quelle che potevamo immaginare, soprattutto con le difficoltà dei primi anni.
Ci sono dei momenti chiave della storia di PageNet che hanno fatto fare un passo in avanti all’azienda?
Certo, penso a quando abbiamo deciso di offrire anche i servizi di digitalizzazione oltre alla pura vendita di scanner. Ora viviamo in attesa di qualche altro evento che possa farci ancora alzare l’asticella delle aspettative.
Ci sono invece alcuni punti critici o fallimenti che non hanno aiutato la crescita di PageNet?
Io sono un ottimista e un positivo di natura. Di fronte a un insuccesso cerco di ricavare qualcosa che possa servirmi per il futuro. Riuscire a fare un’analisi serena dell’insuccesso è molto difficile, ma importante. L’atteggiamento più giusto da avere è capirne le ragioni e farne tesoro.
Una vita intensa, fatta di successi lavorativi e una carriera professionale molto soddisfacente. Ora la tua giornata è dedicata totalmente a PageNet?
Beh, innanzitutto mi godo ritmi meno incalzanti. Ho più tempo per la mia famiglia e per le mie passioni.
Ad esempio?
La musica. Suono il pianoforte da quando ho cinque anni, studiando musica classica prima e musica leggera, crescendo. Nella mia vita come pianista ho raccolto esperienze da insegnante di pianoforte, pianista in un gruppo musicale e di piano bar, fino ad oggi che ho aperto il sito www.pianistacasatua.it con cui mi propongo per feste private, matrimoni, eventi aziendali, ecc. Mi piacerebbe aumentare il tempo che dedico alla musica e bilanciare bene l’effort tra PageNet e l’attività di pianista.